MIGRAZIONI



Nell’ultimo decennio in Italia si è registrato un significativo aumento delle emigrazioni con un volume di rientri che non bilancia le uscite: complessivamente 899mila espatri e 372mila rimpatri.

Nel 2019 il volume complessivo delle emigrazioni è stato di 180mila unità, in aumento del 14,4% rispetto all’anno precedente.

Anche Marina Morandini, nata nel 1990 in provincia di Brescia, dopo aver conseguito una laurea triennale in biologia all’Università degli Studi di Parma e un master in eco-biologia all’Università degli Studi di Roma, si è trasferita prima in Canada e poi a Londra per imparare l’inglese e infine negli Stati Uniti per un dottorato di ricerca presso l’Università dell’Arizona.

In Canada ha lavorato come volontaria con il “Kluane Red Squirrel Project” contribuendo a raccogliere dati per studiare il comportamento degli scoiattoli ed i fattori che influenzano la loro territorialità.

Attualmente si trova in Arizona, dove sta per concludere il suo dottorato in conservazione della fauna e sta per realizzare il suo sogno di diventare docente universitaria.

Fonte Istat 2019


Intervista a Marina Morandini

Perché hai deciso di trasferirti negli USA? In Italia avresti potuto svolgere lo stesso lavoro oppure no?

“Fare un dottorato in Italia è possibile e dura tre anni, mentre negli USA dura dai quattro ai cinque anni. Il mio obiettivo finale è diventare professoressa all’Università e ho fatto un dottorato all’estero principalmente perché in Italia purtroppo è una cosa molto difficile. Poi, una volta finito, è molto complicato trovare un “postdoc”; il passo successivo sarebbe diventare ricercatore presso l’Università e di solito ci sono contratti al massimo di tre anni.

Quindi, l’idea di venire negli USA non è nata pensando che non avrei potuto fare il dottorato in Italia ma perché spero che, avendo fatto un dottorato all’estero, il mio curriculum venga visto in un modo più competitivo, quando dovrò trovare lavoro in un’università.

Dico sempre che io non ho scelto gli USA, ma gli USA hanno scelto me.

E’ stato difficile ambientarsi essendo una donna straniera? Sei stata penalizzata per questo?

“Non mi sono mai sentita penalizzata per essere donna, però è stato difficile lo “shock culturale”, forse perché, a differenza di quanto pensassi, la loro mentalità e la loro cultura sono molto diverse dalle nostre.  Penso che una delle differenze maggiori sia che gli USA sono molto orientati sul singolo individuo e sul successo a cui quella persona può arrivare, invece noi in Italia pensiamo di più alla comunità.

Come shock culturale ci sono state tante piccole cose a cui una persona si deve abituare e a cui non pensa neanche, finché non va a vivere in un altro Paese.

Quindi la difficoltà è stata nell’aggiustamento culturale, non dal fatto che io fossi donna. Inoltre, l’università dell’Arizona è un ambiente molto vario; nel mio gruppo ci sono persone che vengono da molti Paesi e da questo punto di vista sono stata molto contenta.”

Se potessi tornare indietro, rifaresti la stessa scelta? Perché?

“Sono contenta di essere qui e di finire il mio dottorato in Arizona. Dire se è stata la scelta giusta o no è difficile adesso. Allo stesso tempo, penso che ogni evento che succede nella vita ha un motivo e, siccome non si può tornare indietro, secondo me è giusto guardare sempre il lato positivo delle cose che hai fatto. Ci sono stati momenti difficili, soprattutto ora con il coronavirus: è stato molto difficile rimanere lontano dalla famiglia sapendo che non sarei potuta tornare in Italia, anche se ne avessi avuto bisogno. Ovviamente queste situazioni mi fanno riflettere se sia stata giusta o no la scelta di venire qui. Allora cerco sempre di pensare quali siano stati i motivi che mi hanno portato a fare una determinata scelta.”

       Cosa consiglieresti ad una persona che vorrebbe fare il tuo stesso lavoro?

“Se una persona mi dice che vuole diventare biologo e occuparsi di animali, intanto lo avviserei che è molto difficile questo tipo di carriera in Italia, perché ci sono meno opportunità lavorative. Successivamente gli consiglierei di imparare bene l’inglese e il prima possibile.

Quando incomincia l’università, un’altra cosa importante è cercare subito dei ricercatori nell’ambito verso il quale si è interessati e chiedere direttamente di fare esperienza.”

Non è sempre facile risiedere e lavorare all’estero perché, talvolta, non conoscere la lingua, non avere riferimenti né persone a cui rivolgersi può rappresentare un grande ostacolo dal momento che, purtroppo, ci sono persone pronte ad approfittarsene.

Le brutte esperienze in campo lavorativo, date da questa problematica sfortunatamente però, non sempre possono essere viste come un punto di ripartenza, anzi talora segnano la vera e propria fine di una carriera lavorativa.

Intervista a Elena Bulatova

Raccontaci la tua esperienza.

“Ho voluto condividere la mia esperienza con mia figlia perchè penso che sia un insegnamento per la vita. Sicuramente ho avuto la grande opportunità all'eta di 23 anni, appena conseguita una laurea quinquennale all'Universita di Economia e Finanza a San Pietroburgo, di vivere all’estero. Era un’occasione da non perdere, ero una delle prime ad essere uscita dalla Federazione Russa per andare all’estero. Oltre che studiare per l’MBA(master in business administration), durante il mio soggiorno decisi di lavorare nella camera del commercio, ente che si occupava di “business relationships” ossia di tutti gli scambi commerciali tra i paesi negli anni ’98-’99. Ero molto appassionata dal mio lavoro e dalle conoscenze che facevo grazie ad esso, ero nel cuore  della copertura politica del business anglosassone. Il mio datore di lavoro era un russo ben introdotto nel mercato inglese, e si occupava del mio dipartimento. Lavoravo costantemente e lui era molto contento del mio approccio lavorativo. Col passare dei mesi notavo che i miei colleghi ricevevano uno stipendio alto e costante rispetto al mio che era molto basso o inesistente. Dopo qualche tempo andai a contestare questa cosa e lui mi rispose che le spese del dipartimento erano molte e il salario sarebbe rimasto quello.  Dopo qualche mese ho scoperto che, avendo il visto da studentessa, lui decise di sfruttare questa cosa come scusante per ridurre lo stipendio a un 20% nonostante lavorassi anche piú degli altri. Vista la brutta situazione decisi di licenziarmi ma lui me lo impedí minacciando di compromettere i documenti con i quali risiedevo all’estero.”

Come sei uscita da questa situazione, chi ti ha aiutato?

 “Nelle grandi cittá come Londra nessuno ti aiuta, sei da solo, devi contare su te stesso. La mia famiglia mi ha sempre supportata moralmente, ma volevo riuscire ad essere indipendente e uscire da questa situazione da sola. Ho parlato con i miei colleghi che vedevano questa ingiustizia, loro mi aiutarono a convincerlo almeno a licenziarmi ma lui continuava con le minacce come trattenermi con i documenti, atto assolutamente illegale. Mi aiutarono nella Camera dei Lord , parlarono con questa persona e in quel momento decise di mollare la presa.

Questa brutta esperienza per te è stato un punto da cui ripartire “piu forte di prima” o ti sei sentita spaventata da questo ampio e tavolta crudele mondo del lavoro?

È stato sicuramente un punto di ripartenza, anche da questa ingiustizia è iniziata la mia carriera lavorativa,  sicuramente non è stata una cosa giusta ma l’ho presa come una lezione di vita sulla fiducia nelle persone e sull’attenzione che bisogna sempre tenere alta.

Come hai agito rispetto a queste minacce, perché non sei andata per vie legali? 

“Le minacce erano legate al mio visto da studentessa, che comportava un lavoro di 2-3 ore giornaliere; io, però, lavoravo il doppio perché mi piaceva il mio lavoro e davo un grande contributo. Andare per vie legali a 20 anni contro una persona così in “alto nella società” era molto rischioso.”

Intervista a Carlo Crivellaro

Oggi, come in passato, l’umanità è costretta a superare molti problemi e spesso trova possibili soluzioni nell’immigrazione. Le persone che vivono in luoghi diversi dalle loro origini sono considerate immigrati e le ragioni principali per cui spesso assistiamo all’immigrazione sono la mancanza di cibo, acqua, lavoro o guerra.

Gli italiani per sfuggire alla miseria sono stati a lungo una popolazione di migranti, il numero degli abitanti in Italia è cresciuto molto rapidamente, mentre l’economia si è sviluppata più lentamente.

Noi abbiamo intervistato un signore di nome Carlo, nonno di Anita, che ci ha raccontato la sua esperienza di migrazione in Australia durante il dopoguerra...

Intervista a Carlo Crivellaro:

Quale motivo ti ha spinto a emigrare all’estero?

Sono andato all’estero perché nell’ultimo periodo il lavoro era solo nei campi, per questo si guadagnava poco e così un giorno decisi di iscrivermi all’ufficio di collocamento per i cittadini che volevano migrare in vari paesi nel mondo, principalmente in America, Canada, Australia o Nuova Zelanda.

Dove sei andato a cercare lavoro?

Io decisi di andare a cercare lavoro appunto in Australia, nei dintorni fra Canberra, Sidney e Melbourne in mezzo alle montagne nevose.

Quanto è durato il tuo viaggio? Con che mezzo ti sei spostato?

Il viaggio è durato 42 giorni e per arrivare in Australia mi sono spostato in nave.

Hai trovato subito lavoro?

Subito no, appena arrivati ci hanno mandato per 2 mesi nel campo di Bonegilla, un ex-campo di prigionia che venne utilizzato nel dopoguerra per le persone che attendevano di essere assegnate ad un lavoro.

Dopo l’attesa che lavoro hai iniziato a fare?

Nelle imprese in Australia la gente veniva mandata a fare lavori molto stancanti. Io iniziai a lavorare per andare a spalare le strade dalla neve in inverno e poi ogni giorno facevamo un’ora di viaggio in camion per andare a costruire dighe per le centrali elettriche.

Hai avuto difficoltà a imparare la lingua del posto?

Beh imparare bene l’inglese non fu per niente facile per me, ci misi molto tempo, appresi anni e anni di conversazioni con gente del posto e finii di imparare definitivamente la lingua solo al termine della mia esperienza in Australia, questo mi aiutò molto a trovare subito lavoro tornato in Italia dal momento che mi mandarono a lavorare negli uffici della caserma americana a Vicenza.

Lavoro e migrazione sono due fenomeni strettamente legati. 

Infatti, milioni di persone scelgono di migrare per migliorare la propria situazione lavorativa e, di conseguenza, le proprie condizioni di vita. 

Secondo le stime globali del 2017 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sui lavori migranti, su circa 258 milioni di migranti, 164 milioni sono lavoratori, tra cui 96 milioni di uomini e 68 milioni di donne. Quasi l’87 % dei lavoratori migranti è in età lavorativa compresa tra i 25 e i 64 anni. Questo indica che alcuni paesi di origine stanno perdendo il segmento più produttivo della loro forza lavoro, che si sposta nei paesi ad alto reddito.

I lavoratori migranti contribuiscono allo sviluppo economico e sociale dei paesi sia di destinazione che di origine, affinchè questo avvenga, però, ogni migrante deve essere integrato nel mercato del lavoro estero. Per questo, i flussi migratori sono gestiti con interventi in termini di governance, politiche anti-discriminatorie di integrazione e protezione sociale volte ad assicurare un lavoro dignitoso ai migranti e migliori condizioni di vita per loro e per le loro famiglie.

Fonte del 24/03/2021:

https://ilbolive.unipd.it/it/quanti-immigrati-ci-sono-nel-mondo 

L’Italia è stata a lungo un Paese di emigrazione soprattutto durante i due dopoguerra, ma in questi ultimi anni è divenuto uno degli stati dell’UE (il quarto secondo i dati dell'Eurostat del 2017) con più immigrati. La maggior parte delle persone immigrate in Italia lo fanno per cause lavorative ma ci sono dei casi, soprattutto quelle persone che derivano dalle coste africane, che decidono di abbandonare il loro paese d’origine per scappare da una guerra.

Gli stranieri presenti in Italia registrati sono circa 5 milioni (che in percentuale rappresenta l’8%) e quindi il nostro stato è, a tutti gli effetti, uno Stato multietnico. 

Fonte del 24/03/21

https://it.wikipedia.org/wiki/Immigrazione_in_Italia#/media/File:Mappa_stranieri_in_Italia_per_paese_d'origine.png 

Sempre in questa carta geografica vengono evidenziate le regioni italiane con più immigrati.

Le regioni con più immigrati (dal punto di vista totale), in percentuale in Italia, sono:

- Emilia-Romagna, con 12,0 %

- Lombardia, con 11,3 %

- Lazio e Campania, con 10,5 %

- Veneto, con 10,4 %

Fonte del 24/03/21

Oriente e occidente 2; E. Cantarella, G. Guidorizzi; Mondadori

Invece a livello di emigrazione l’Italia non è una delle più alte europee, ma comunque già a partire del nuovo secolo le emigrazioni annue hanno, secondo i dati, un continuo aumento. 

Inoltre, secondo la AIRE (anagrafe degli italiani residenti all’estero) i principali stati con più residenti di origine italiana sono: 

- Argentina con 691.481

- Germania con 651.852

- Svizzera con 558.545

- Francia con 373.145

Fonte del 24/03/21

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/timeline/9df160bbd35b65d1bddec7155619ca5e.png 

Dal punto di vista continentale gli Italiani emigrati nel mondo sono distribuiti in modo disomogeneo a seconda del continente, infatti si passa dall’Europa con poco più di 2,5 milioni di emigrati italiani all’Asia che ne conta solo 65 mila.

Fonte del 24/03/2021 

https://www.lavocedinewyork.com/people/nuovo-mondo/2016/10/09/rapporto-migrantes-un-secolo-dopo-altra-ondata-di-emigranti/ 

Fonte del 24/03/21 Oriente e occidente 2; E. Cantarella, G. Guidorizzi; Mondadori

Movimenti italiani per e dall’estero nel dopoguerra: medie annuali 1946-1980.

Fonte del 24/03/21 http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/lemigrazione-degli-italiani-dai-picchi-del-dopoguerra-ai-nuovi-flussi/ 

Movimenti migratori con l’estero degli italiani nel dopoguerra: medie annuali 1946-1980.

Fonte del 24/03/21 http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/lemigrazione-degli-italiani-dai-picchi-del-dopoguerra-ai-nuovi-flussi/ 

Fonte del 24/03/21  popolazioneestoria.it › article › download  

Migrazioni per lavoro nel passato

Dall’anno della scoperta dell’America (1492) fino alla metà del XX secolo i flussi migratori per lavoro erano principalmente indirizzati dall’Europa verso gli altri continenti, più prosperi. 

Tra il 1820 e il 1940, emigrarono circa 60 milioni di europei, a ritmi anche di più di un milione di persone l’anno nei primi vent’anni del novecento. Di questi, ben 38 milioni emigrarono negli Stati Uniti. Gli altri sono distribuiti tra Canada, paesi dell’America del sud, Australia e, in percentuale molto minore, Africa.

Gran parte dell’emigrazione, almeno a partire da fine ottocento, è costituita da persone dei paesi dell’Europa meridionale, in particolare Italia, Spagna e Portogallo.

Con la fine della prima guerra mondiale diminuiscono anche i flussi di emigrazione dall’Europa, anche a causa di una stretta sulle politiche migratorie statunitensi, che però non si esauriscono: fino alla fine degli anni cinquanta molti europei continuarono ad emigrare verso l’America e l’Australia.

Tuttavia, si riscontrano i primi segnali di un movimento contrario, con il boom economico che investe l’Europa dagli anni sessanta: c’è bisogno di manodopera nei paesi del centro nord Europa e quelli del sud sono pronti a fornirla. Italiani, spagnoli, portoghesi, greci migrano ora all’interno del continente, sempre e ancora per cercare fortuna.

A questi cominciano ad aggiungersi anche lavoratori migranti da fuori Europa: turchi, marocchini, tunisini, algerini.

In questo periodo i flussi migratori principali sono 4:

- dall’america centrale al nord america;

- dal bacino del mediterraneo e dall’est europa all’UE;

- dal medio oriente e dall’asia meridionale al golfo persico per l’industria petrolifera;

- tra gli stati del pacifico verso altri stati del pacifico perché c’è una grande rete di commerci;

Migrazioni italiane

L’argomento della migrazione italiana ha avuto delle continue evoluzioni nel corso del tempo. Infatti, come spiegato nel paragrafo precedente, l’Italia è uno dei maggiori Paesi ospitanti ma una volta è stata soggetta all’evento opposto.

La prima grande emigrazione italiana è avvenuta tra il 1860 e il 1915. Questa migrazione, divenuta importante per la sua enormità, viene anche riconosciuta con  il nome di “Grande migrazione”. Durante questo sessantennio in totale abbandonarono l’Italia poco più di 9 milioni di persone, le quali si diressero, per cercare lavoro, verso le Americhe (in particolare verso gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile) ma anche verso alcuni paesi europei (soprattutto verso la Francia) che stavano avendo un’importante crescita economica. Inoltre, sempre in questo periodo, dal partire del XIX secolo ci fu una forte migrazione verso il continente Africano, specialmente verso l’Egitto, il Marocco la Tunisia. 

Dalla fine della Prima Guerra Mondiale e l’inizio della Seconda le migrazioni di massa diminuirono a dismisura a causa delle restrizioni imposta dall’organo fascista che governava l’Italia in quel periodo. Le migrazioni cambiarono completamente le mete concesse durante il fascismo erano solo quelle interne, quindi solo da regione a regione, verso la Germania (che era alleata dell'Italia) e verso le colonie Italiane in Africa, ovvero l’Eritrea, l’Etiopia e la Libia.

Alla fine della seconda guerra mondiale cominciò un’altra ondata migratoria, causata sempre dalla ricerca di lavoro, che coinvolse in particolare tre stati europei, cioè la Germania, la Svizzera e il Belgio. Questa ultima importante migrazione terminò con il Boom economico, circa verso gli anni sessanta, che causò l’aumento del lavoro e della ricchezza dello stato Italia. 

Intervista ad Ornella Milani

La storia che oggi abbiamo deciso di raccontare è l’emigrazione di Ornella Milani e della sua famiglia da Padova verso San Paolo in Brasile.

Ornella nacque a Padova nel 1946 e si traferì in Brasile all’età di quattro anni, nel 1950 viaggiando con la madre in una nave transatlantico.

1)   “Come mai vi siete trasferiti in Brasile?” 

“Mio padre era destinato a lavorare nella casa editrice Cedam di Padova, ma questo non era nei suoi interessi, perciò rispose ad un annuncio sul corriere della sera che richiedeva personale qualificato nella motorizzazione aerea verso il Brasile e lui accettò dato che gli studi che aveva fatto erano riguardanti l’aereonautica. Così decise di traferirsi e una volta avuto un guadagno stabile prese una “fazenda” ovvero una fattoria nella quale instaurò la sua casa e il suo nuovo lavoro. Dopo un anno io e mia madre lo raggiungemmo” 

Perciò Ornella e la sua famiglia non si trasferirono perché in Italia non trovarono nessun lavoro, ma come scelta di vita personale.

Ma questa esperienza ha portato alla luce qualche tipo di discriminazione?

2)“La sua famiglia era vittima di pregiudizi poiché immigrata?”

“Si, il Brasile era ed è uno stato multietnico, le persone del luogo solitamente all’epoca lavoravano le terre per gli europei che stavano nella classe dirigente, perciò una volta arrivati in Brasile la nostra famiglia non era ben vista dagli abitanti del luogo, ma essendo mio padre un uomo rispettabile aveva creato questa fattoria che dava lavoro a molte persone del posto disoccupate e grazie a ciò questi pregiudizi si affievolirono” 

3)“In Brasile c’erano le stesse discriminazioni che erano presenti in Italia nel mondo del lavoro, ad esempio tra uomo e donna?

“Si, in Brasile all’epoca, come in Italia, la donna era solamente una casalinga, a parte qualche raro caso di cui ad esempio ha fatto parte mia mamma che era una cantate d’opera che si esibiva a teatro anche a San Paolo.

Inoltre c’era molto razzismo da parte degli europei nei confronti delle persone brasiliane che svolgevano, come ho già detto, i lavori più manuali”

Successivamente Ornella tornò in Italia con la madre e la sorella nata cinque anni dopo l’arrivo a San Paolo e proseguì la sua vita a Padova.

Disuguaglianze tra uomo e donna

La disuguaglianza tra uomo e donna attuale viola i diritti fondamentali dell’uomo e ha conseguenze gravi sia dal punto di vista economico che sociale. La lotta per la parità dei generi è essenziale per un lavoro dignitoso; secondo gli ultimi dati dell'OIL (Organizzazione Internazionale del lavoro) l’obiettivo della equità delle donne è ancora distante e in molti paesi del mondo il genere femminile è intrappolato ancora in lavori poco retribuiti e dignitosi rispetto agli uomini.

La parità delle donne dovrebbe portare:

-alla promozione e alla realizzazione di principi fondamentali sul lavoro;

-alla creazione di più possibilità per uomini e donne di potere aderire a un lavoro e a un reddito sicuro e dignitoso;

-al rafforzamento della protezione sociale di tutti i lavoratori e le lavoratrici e del dialogo sociale. 

Questi obiettivi possono essere riassunti nel tentativo di promuovere le opportunità per tutti i sessi di ottenere un lavoro dignitoso in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità umana scritti nella costituzione.