LAVORO E SFRUTTAMENTO
le donne lavoratrici

LO SFRUTTAMENTO IN GENERALE
In Veneto sono numerosi i casi di sfruttamento del lavoro, in particolare nel settore agricolo, ma non mancano in altri settori casi di caporalato, abuso, di cui parleremo e approfondiremo insieme al caso delle donne, che sono tra le più colpite.
Nel Veneto la modalità di più sfruttamento sembra essere quella del caporalato, una forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera nel lavoro dipendente, riguarda specialmente il settore agricolo e in alcuni casi c’è addirittura lo zampino della mafia.

Dopo aver analizzato le modalità di sfruttamento più diffuso nel Veneto ci occupiamo delle associazioni sindacali che provano a contrastare e arginare questi fenomeni. Tra queste troviamo:
CGIL: Confederazione Generale Italiana del Lavoro
CAAF: Centro Autorizzato di Assistenza Fiscale
CISL: Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori
CAF: Centro di assistenza fiscale
SLS: Sindacato Lavoro Società

LO SFRUTTAMENTO DELLE DONNE
Lo sfruttamento delle donne nell'ambito lavorativo avviene attraverso lo sfruttamento della prostituzione da parte di associazioni criminali che si approfittano delle condizioni di difficoltà di donne principalmente immigrare dai paesi dell'est Europa. La Regione del Veneto, per la sua collocazione geografica ed economica, si presta ad essere un importantissimo punto strategico per attività illecite come quelle su cui ci stiamo documentando.
Venezia, Verona e Padova. Queste città sono collocate in zone "nevralgiche" della Regione del Veneto, ossia lungo aree di confine, terrestre e marittimo, oppure sono grandi centri urbani posti in corrispondenza di importanti scali ferroviari, aeroportuali o altre vie di comunicazione o situazioni in zone dove il turismo di massa rappresenta una parte importante della realtà economica. In queste province il fenomeno della prostituzione di strada, stando alle stime, è molto più diffuso e molto più significante rispetto alle altre province della Regione del Veneto.

UN CASO DI SFRUTTAMENTO DELLE DONNE
Elisa oltre a ricevere uno stipendio molto basso, non veniva pagata con regolarità e serietà, infatti, lo stipendio le veniva dato solo quando faceva più comodo al suo capo, senza un giorno fisso.
“Poi un giorno sono rimasta incinta e quando andai a dirlo al mio capo, oltre a essere stata trattata molto male, fui lasciata a casa senza essere pagata e senza nemmeno aver ricevuto delle motivazioni valide.”
Passarono molti mesi, nei quali Elisa provò molte volte a parlare con il suo capo per chiedergli se poteva tornare a lavorare, ma non ricevette mai una risposta.
Il denaro e le sue svariate finalità, esso va gestito sapientemente, per le madri, specialmente quelle con problemi finanziari, esso deve essere rigorosamente contato e diviso per soddisfare le necessità fondamentali del bambino e quelle di una madre incinta o avente già figli, vengono così tralasciati i piaceri e i desideri lasciando la donna vuota e senza identità.
“Quando nacque mio figlio, dopo i mesi di maternità, senza aver ricevuto soldi e non avendo ricevuto una proposta per ritornare a lavorare, dopo anni di sofferenze e di sfruttamento decisi di licenziarmi e di trovare un altro lavoro che mi avrebbe resa più felice.”
Attualmente Elisa lavora come OSS in un centro di ragazzi con disabilità, si trova molto meglio ed è davvero felice di aver cambiato vita.

DONNA LAVORATRICE IN GRAVIDANZA
Lo sfruttamento sul lavoro è un problema che sussiste tuttora. Tramite questo progetto abbiamo deciso di raccontare la storia di una persona che ne ha fatto esperienza.
Il nostro racconto parla di una donna che lavorava come collaboratore in una farmacia. Durante questa esperienza lavorativa si era ritrovata a doversi confrontare con il suo titolare a causa di una gravidanza. Al momento dell’assunzione le era stato subito chiesto quali intenzioni avesse sul futuro e lei, ancora molto giovane, non aveva ancora idea di quali sarebbero state. Era noto all’epoca che molti, per prassi, facessero firmare una lettera di dimissioni in bianco (una lettera nella quale il dipendente sceglie di lasciare l’impiego, ma viene utilizzata a piacimento del datore di lavoro).
Quando dopo un anno circa dall’assunzione rimase incinta, non fu facile, per lei, comunicarlo al titolare che infatti non reagì con entusiasmo, tanto più che la situazione precipitò quando si palesarono disturbi e imprevisti durante la gravidanza. Suddetti problemi portarono ad accessi al pronto soccorso e ad una prescrizione di riposo assoluto. Per questo era già chiaro che il rientro al lavoro non sarebbe potuto avvenire nelle condizioni precedenti che richiedevano otto ore in piedi al giorno. La signora propose, quindi, al suo superiore un cambio di mansioni, in modo da poter effettuare parte del lavoro da seduta. Lui rifiutò puntualizzando che lei “era stata assunta per una mansione ben precisa” e che “se non fosse stata in grado di svolgerla avrebbe potuto rimanere a casa”. Di fronte alla scelta: continuare a lavorare oppure tutelare la gravidanza, la donna non ebbe dubbi. Il ginecologo la segnalò come gravidanza a rischio e fu costretto a metterla in malattia. Quando, dopo il parto, la signora volle tornare a lavorare, il titolare la rifiutò, affermando che a quel punto avrebbe potuto “starsene a casa”, costringendola all’autolicenziamento.
Oggi questa donna ha condiviso con noi la sua esperienza, anche come esempio per le ragazze che potrebbero star vivendo una situazione simile.

LA CONDIZIONE DELLE DONNE NEL PASSATO
La condizione delle donne in Italia è radicalmente cambiata rispetto al passato grazie anche a una maggiore partecipazione alla società e alla vita politica, seppure con limiti ancora molto evidenti. La lotta al femminile per arrivare a questi primi risultati è stata lunga, difficile e caratterizzata da secoli di ingiustizie, ostacoli e sacrifici. Secondo il Global Gender Gap Index, il rapporto pubblicato dal World Economic Forum, per valutare i progressi fatti verso la parità di genere nei settori della politica, dell’economia, dell’istruzione e della salute di 153 paesi, nel 2019 l’Italia si classificava al 76esimo posto. Complice il retaggio di una mentalità patriarcale, che ha visto nel corso della storia le donne “solo” mogli e madri senza percepire la cura e la dedizione nei riguardi della famiglia, come un vero e proprio lavoro, un impegno anche educativo, soprattutto nei riguardi dei figli. In ambito lavorativo nonostante esistano leggi che prevedono la parità di trattamento tra uomini e donne e il divieto di licenziamento per le donne in stato di gravidanza, molte sono costrette a scegliere tra vita professionale e vita familiare rinunciando ai figli sin dai primissimi mesi di vita con un’eco sulla crescita e sul rapporto molto forte.

LE LEGGI CHE HANNO CAMBIATO IL CORSO DELLA STORIA
È solo verso la fine dell’Ottocento che alle donne in Italia cominciano a essere riconosciuti alcuni dei basilari diritti umani come ad esempio quello all’istruzione, in cui nel 1874 viene consentito l’accesso ai licei e alle università. In realtà, molti istituti continuarono a rifiutare le iscrizioni femminili e molte professioni rimasero precluse a laureate e diplomate. Nel frattempo, nei luoghi in cui la concentrazione di donne è maggiore, come i campi e le fabbriche, nascono i primi sindacati operai e le organizzazioni di lavoratrici. I progressi legislativi sono lenti e spesso ottenuti nei contesti in cui lo sfruttamento si presentava a livelli estremi. Nel 1902 viene approvata la legge proposta da Paolo Carcano, Ministro delle Finanze durante il governo Zanardelli, che vieta a donne e bambini la mansione di minatori e limita le ore lavorative giornaliere a 12.
Durante il primo conflitto mondiale, mentre gli uomini sono impegnati al fronte, sono le donne a prendere il loro posto di lavoro. Il grande contributo femminile durante questo periodo così particolare riaccende il dibattito sulla loro condizione. Con la Legge Sacchi, nel 1919 viene abolita l’autorizzazione maritale e consentito alle donne l’accesso ai pubblici uffici, esclusi la magistratura, la politica e l’esercito. Il regime fascista promuove l’ideologia che vede nella procreazione il principale dovere della donna. I diritti acquisiti fino a quel momento vengono declassati e inasprite le leggi che sottomettono la donna alle scelte di padri e mariti.
Alla fine della guerra viene finalmente riconosciuta l’importanza del ruolo svolto dalle donne durante gli anni del conflitto. Già dal 1945 viene approvato il suffragio femminile, grazie all’impegno dei movimenti pro-voto e alla proposta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. È in occasione del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che viene consentito per la prima volta alle donne di votare: ai cittadini viene chiesto di scegliere il destino del Paese tra Monarchia e Repubblica. Finalmente, nel 1948 viene redatto il testo della Costituzione Italiana, che nell’art.3 garantisce pari diritti e pari dignità sociale alle donne in ogni campo e con una legge nel 1950 viene sancito il divieto di licenziare le lavoratrici durante il periodo di gestazione e durante il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, pari ad otto settimane dopo il parto. Viene, inoltre, ribadito l’obbligo per i datori di lavoro di istituire le “camere di allattamento”.
Queste sono solo alcune delle norme che le donne hanno ottenuto con grande sacrificio, con le lacrime e il sangue di altre donne: la Fondazione Nilde Iotti le ha elencate in un libro dal titolo “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia”, che argomenta l’impatto sociale della lotta femminile sul Paese e sulla mentalità generale.
Gli obiettivi conquistati dalle donne sono stati grandi, ma il percorso verso la parità è ancora lungo, specialmente in ambito professionale.
Nel mondo del lavoro la strada da percorrere è ancora tanta e c’è ancora una grande differenza tra la percentuale di occupazione maschile e femminile. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro denuncia che sono quasi 38mila le neomamme che nel corso del 2019 si sono viste costrette ad abbandonare il proprio posto di lavoro, a causa dell’impossibilità di conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Sembra impossibile pensare che nel 2020 le donne siano ancora vittime del gap salariale: a parità di mansioni, le lavoratrici donne guadagnano meno rispetto agli uomini. Ma non è tutto… l’accesso al mondo del lavoro per le donne è prevalentemente orientato su posizioni meno prestigiose e retribuite rispetto agli uomini. Inoltre, solo una donna su quattro riesce a ricoprire una posizione dirigenziale. Le cause possono essere attribuite agli stereotipi di genere, che riguardano ancora l’istruzione. Si sentono spesso pronunciare frasi come:
“Le donne sono più portate per le materie umanistiche, per la loro sensibilità, e meno per quelle scientifiche.”
Altro esempio di pregiudizio è sul ruolo della donna all’interno del focolaio domestico. I dati Istat rivelano che nelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano, è la donna a trascorrere gran parte del proprio tempo a prendersi cura della casa e dei figli, mentre il padre è generalmente molto assente.
Serve un duplice sostegno a favore della parità, principalmente nell’ambito del lavoro, della famiglia e della violenza di genere: da una parte sono necessarie riforme e regolamentazioni strutturali; dall’altra è importante promuovere un cambio di mentalità. Il concetto di parità va impartito nei luoghi dell’educazione fin dalla prima infanzia, trasmettendo l’arricchimento che deriva dalle diversità di ognuno, da rispettare e valorizzare. Per consentire alle donne di sviluppare la propria carriera professionale al pari degli uomini, servono maggiori servizi dedicati ai bambini e alle famiglie a prezzi accessibili, oltre che un contributo maggiore da parte dei padri, che dovrebbero poter usufruire di un congedo parentale simile a quello della madre. Per quanto riguarda le violenze, dovrebbero essere condannate in qualsiasi caso con pene più aspre.


DONNE LAVORATRICI
CHE SI SONO TROVATE MEGLIO
Il tema del lavoro e sfruttamento è molto pesante e tutti noi ne abbiamo sentito parlare.
Ma per fortuna, nel mondo ci sono anche delle persone che non ne sono state vittime e noi siamo riusciti ad intervistarle.
Le donne lavoratrici, che abbiamo intervistato, non si sono mai sentite essere sfruttate in tutto il loro arco lavorativo e, essendo consapevoli di questo fenomeno, ne sono ora molto grati.
Entrambi hanno lavorato da giovane e hanno trovato un lavoro stabile dopo pochi tentativi.
Nessuna delle due ha assistito a scene di sfruttamento, ma tutti e due hanno sentito parlare di storie avvenute in settore tessile e in Veneto.

Ci presentano due cause che hanno portato allo sfruttamento di donne:
Il retaggio culturale che vede in donna una figura inferiore rispetto a quello di un uomo:
"Forse per quello che riguarda lo sfruttamento femminile potrebbe essere un retaggio culturale legato al fatto magari che la donna viene vista come persona di meno valore rispetto al maschio.. . "
La causa economica per cui si cerca di ottenere la massima forza lavoro con il minore quantità di denaro pagato:
"Perchè si vuole sempre ottenere il massimo con il minimo esborso di denaro."

Entrambi affermano che, se si trovassero di fronte a una situazione, preferirebbero combattere che starsene zitte e soffrire le ingiustizie, ma non bisogna pensare che sia così ovvio e semplice perché c'è gente che ha fortemente bisogno del lavoro, per cui non può lasciare facilmente quel posto:
"...penso che la reazione che avrei avuto sarebbe stata di andare via, ma comunque secondo me, quando ti trovi nella situazione, subentrano tanti fattori e secondo me la maggior parte delle persone ha taciuto, credo."
"...se uno ha bisogno di lavoro, si china di fronte a determinate difficoltà; però cercare di ribellarsi sicuramente questa è una cosa che mi verrebbe d'istinto."

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