DISCRIMINAZIONE DELLE DONNE SUL POSTO DI LAVORO
Un disagio reale e tutt'oggi fortemente radicato nelle trame della società.

"Perché hai deciso di rimanere incinta proprio ora? Non pensi che licenziarti sarebbe una scelta migliore? Che madre pensi di essere se trascuri così tua figlia?"
Questi sono solo alcuni degli attacchi rivolti ad una giovane madre intervistata il cui entusiasmo è stato ben presto soffocato dalle condizioni di lavoro stressanti e dall'ostilità dei colleghi. La sua storia non è affatto un caso isolato, ma è la realtà quotidiana di moltissime donne lavoratrici con il desiderio di costruirsi una famiglia.
LA CONDIZIONE LAVORATIVA DELLE DONNE AD OGGI
Quasi 300 anni, da quando nel XVIII secolo le donne hanno iniziato a svolgere le stesse mansioni degli uomini, le discriminazioni delle donne non solo non sono ancora scomparse, ma anzi si sono fatte più sottili. Numerosi movimenti femministi si sono succeduti nel tempo e hanno combattuto per ottenere la parità tra uomo e donna. Proprio per questo al giorno d'oggi spesso si dà per scontato che questa sia stata raggiunta, la lotta di genere sembra cosa passata e si ritiene che ormai le donne non siano più discriminate. Purtroppo in realtà nella società contemporanea, che guarda con disprezzo l'oscurantismo dei secoli scorsi e che vanta di aver raggiunto una completa parità tra uomo e donna, sono ancora presenti discriminazioni di genere, soprattutto in ambito lavorativo.
Da un'indagine statistica condotta tra i componenti della nostra classe del liceo scientifico "Alvise Cornaro", sono emerse diverse criticità in ambito occupazionale del genere femminile. In particolare, tre sono stati i casi di donne licenziate e costrette a rassegnare le proprie dimissioni a causa del loro genere o forzate ad abbandonare il loro posto di lavoro per poter sostenere una gravidanza. Il che ci ha spinto ad approfondire l'argomento.
L'ambito in cui la donna è maggiormente discriminata al giorno d'oggi è quello lavorativo. Queste discriminazioni consistono in difficoltà nel farsi assumere, salari più bassi a parità di mansioni rispetto ai colleghi maschi, difficoltà nell'ottenere promozioni e occupare quindi ruoli di rilievo, intolleranza e ostilità nei periodi che precedono e seguono il congedo di maternità, offese, aggressioni verbali e molestie.

Proporzione di donne e uomini con istruzione terziaria in posizioni manageriali e professionali, 2017 (% laureati,% laureate)
CAUSE DELLA DISCRIMINAZIONE E PROVVEDIMENTI ATTUATI
Queste discriminazioni sono basate sul fatto che le donne sono viste come mogli e come madri, ma non come lavoratrici. Il pregiudizio che sta a fondamento della discriminazione femminile sul posto di lavoro è proprio quello secondo cui la donna dedicherebbe più tempo alla famiglia che al lavoro. Il congedo di maternità è infatti più lungo rispetto a quello di paternità, come se molto lo Stato stesso delegasse alla donna il conseguimento di crescere i figli e solleva l'uomo da questo incarico . Se poi il bambino sta male, si dà per scontato che sarà la madre a chiedere un permesso per potersi assentare dal lavoro e in genere, se uno dei genitori deve modificare i propri orari di lavoro per andare a prendere il figlio dopo scuola, spesso è la donna a farlo. Tutto questo non per dire che la lavoratrice dovrebbe smettere di essere madre, ma piuttosto per far notare che il lavoratore dovrebbe comportarsi anche da padre, perché l'educazione dei figli spetta a entrambi i genitori, e se questo fosse ben comprensibile anche nelle leggi, allora tutte le discriminazioni verso le madri-lavoratrici mancherebbero completamente di fondamento.
In Italia sono ancora molti i passi da intraprendere per poter tutelare le donne e il loro diritto ad avere una famiglia senza che questo influisca negativamente sul loro percorso lavorativo, anche se il nostro Paese ha già fatto dei passi in avanti grazie ad alcune norme che difendono la maternità. La legge italiana prevede infatti che vengano concessi un totale di cinque mesi di pausa dal lavoro in prossimità del parto e durante i primi mesi di vita del neonato, e questo periodo può essere prolungato nel caso in cui la madre decida di volersi dedicare di più alla crescita del bambino. Per le mamme lavoratrici sono previsti periodi di riposo per l'allattamento, e in caso di malattia del proprio figlio, queste hanno il diritto di assentarsi dal posto di lavoro fino a quando il bambino, di età inferiore ai tre anni, non guarisca completamente.
STORIA DI UNA MADRE
Queste norme, che si preoccupano di tutelare le lavoratrici e di garantire la completa condizione di un uomo e donna, non sono comunque ancora state in grado di raggiungere l'obiettivo di abbattere pienamente le discriminazioni e il divario di genere, purtroppo ancora presenti nel mondo del lavoro. Ne è una testimonianza la storia straziante di CS, una donna coraggiosa che ha trovato la forza di raccontare quel periodo della sua vita che è stato segnato dal dolore e dall'ingiustizia, in modo tale che episodi del genere non accadano mai più. Quello che sarebbe dovuto essere un momento tanto atteso quanto meraviglioso, grazie alla notizia della sua prima gravidanza, si è trasformato infatti in un incubo a causa dell'odio ingiustificato di superiori e colleghi. Dopo essere tornata dal periodo di maternità, si è ritrovata ad affrontare la totale ostilità dei dati di lavoro, costretta giorno dopo giorno a sopportare frasi dure e crudeli, come se la sua scelta meravigliosa di essere madre fosse in realtà una colpa nei confronti dell'azienda. Ogni giorno era segnato da continue umiliazioni e pesanti battute, che rimarranno per sempre scolpite nella sua memoria.
CS è una donna forte e di aver dato diritto alla famiglia e orgogliosa di aver dato alla luce la piccola Emma, ha deciso di rinunciare ai suoi diritti di lavoro e di licenziamento. A distanza di anni, afferma di non rimpiangere la sua scelta di essere madre, e che anche potendo tornare indietro, non cambierebbe niente di ciò che ha fatto, poiché il sorriso di sua figlia vale più di tutti gli insulti e le offese che ha dovuto sopportare. La sua storia non deve essere dimenticata, ma anzi deve essere testimonianza di come i pregiudizi e le discriminazioni sociali possano ferire nel profondo, in modo che episodi come questo non accadano mai più. Nonostante questo, dopo tutto il dolore e la sofferenza, C.S. ha la forza di gridare “Sono fiera di essere madre”.
COSA ANCORA POSSIAMO FARE A RIGUARDO?
Dopo aver verificato il grave disagio sociale della componente femminile nel mondo del lavoro, risulta spontaneo chiedersi cosa si può fare per risolvere il suddetto problema.
Sempre più politiche attente alla parità di genere si diffondono in tutto mondo e, in particolare, nei paesi occidentali; tuttavia non è ancora abbastanza: esistono, ad esempio, condizioni che portano indirettamente ad una diversità della componente lavorativa femminile. Prendendo in esame il congedo per maternità, ad esempio, questo risulta essere molto più lungo e facile da ottenere rispetto ad un congedo di paternità per un uomo. Ciò significa che ci sarà più propensione per la donna, rispetto che per l'uomo, a lasciare il posto di lavoro per periodi prolungati, portandola alla possibile perdita dell'impiego o, per scelta obbligata, alla "reclusione" all'interno delle mura domestiche. Inoltre, la maternità, non è una condizione conveniente al datore di lavoro che, conosciute le variabili che portano più frequentemente la donna a lasciare l'occupazione per prendersi cura dei figli, sceglierà quindi di assumere lavoratori maschi, più convenienti dal punto di vista del rapporto costi benefici. La soluzione a questo problema, però, esiste già: in particolare, nei paesi scandinavi, la paternità viene allungata ed equiparata alla maternità, e, dato che il congedo parentale è un diritto, avendolo equilibrato tra i due sessi, questo stesso congedo non andrà a gravare né sulla condizione lavorativa dell'uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati. occupazione per prendersi cura dei figli, sceglierà quindi di assumere lavoratori maschi, più convenienti dal punto di vista del rapporto costi benefici. La soluzione a questo problema, però, esiste già: in particolare, nei paesi scandinavi, la paternità viene allungata ed equiparata alla maternità, e, dato che il congedo parentale è un diritto, avendolo equilibrato tra i due sessi, questo stesso congedo non andrà a gravare né sulla condizione lavorativa dell'uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati. occupazione per prendersi cura dei figli, sceglierà quindi di assumere lavoratori maschi, più convenienti dal punto di vista del rapporto costi benefici. La soluzione a questo problema, però, esiste già: in particolare, nei paesi scandinavi, la paternità viene allungata ed equiparata alla maternità, e, dato che il congedo parentale è un diritto, avendolo equilibrato tra i due sessi, questo stesso congedo non andrà a gravare né sulla condizione lavorativa dell'uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati. La soluzione a questo problema, però, esiste già: in particolare, nei paesi scandinavi, la paternità viene allungata ed equiparata alla maternità, e, dato che il congedo parentale è un diritto, avendolo equilibrato tra i due sessi, questo stesso congedo non andrà a gravare né sulla condizione lavorativa dell'uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati. La soluzione a questo problema, però, esiste già: in particolare, nei paesi scandinavi, la paternità viene allungata ed equiparata alla maternità, e, dato che il congedo parentale è un diritto, avendolo equilibrato tra i due sessi, questo stesso congedo non andrà a gravare né sulla condizione lavorativa dell'uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati. uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati. uomo né su quella della donna. Questo poiché il datore di lavoro, dovendo comunque concedere i diritti ai suoi lavoratori, non sarà messo in condizione di scegliere la strada a lui più proficua a scapito delle condizioni di vita dei suoi impiegati.
In conclusione, nel mondo, in Italia, piccole e grandi realtà si sono mosse e si stanno muovendo per apportare un cambiamento sociale e fare in modo che la parità tra i sessi non sia solo un'idea di belle speranze di cui potersi fregiare, ma una realtà quotidiana, tangibile, che possa cambiare e migliorare la qualità della vita delle persone. Nonostante ciò, c'è ancora molto da fare, le discriminazioni e gli abusi sono all'ordine del giorno e, troppo spesso, la donna viene ancora concepita come il "sesso debole" e considerata sottoposta all'uomo. Si sarà anche raggiunta la parità sulla carta ma ora viene la parte più difficile, per cui bisogna lottare con più ardore: cambiare la mente delle persone e raggiungere la parità nella quotidianità e nella concezione sociale.
Perché non ci si può accontentare, non ci si può adagiare sugli allori, forti delle conquiste egualitarie raggiunte, tacciando come inutile o superfluo ogni altro sforzo, perché se è vero che tanto si è conquistato fino ad oggi, è altrettanto vero che quel tanto non è abbastanza. Come ogni grande progetto, che all'inizio va tutelato e protetto, anche la parità tra i due generi deve essere preservata, migliorandola dove la si è già raggiunta e colmando il divario tra uomo e donna dove questo è ancora presente.
