UNA PIOGGIA DI FRAGILITÀ
LAVORO e DISOCCUPAZIONE

Il lavoro e la disoccupazione sono due realtà che, con l’arrivo della pandemia, sono state fortemente compromesse. In questo articolo vi chiariremo la situazione e vi riporteremo le esperienze di quelli che sono stati maggiormente colpiti.
Lavoro e fragilità sono due parole che apparentemente possono sembrare molto sconnesse tra loro, ma in realtà si collegano l’un l’altra. Negli ultimi tempi, questo legame si è rafforzato a causa del Covid, che è piovuto sul mondo del lavoro, portando una moltitudine di fragilità.
Ma cosa si intende veramente con questo termine?
Noi ragazzi del liceo classico Giovanni Prati, durante la settimana di alternanza scuola-lavoro, abbiamo provato a rispondere a questa domanda, attualizzandola rispetto alla situazione pandemica. Ci siamo chiesti come relazionare queste due tematiche; in particolare abbiamo distinto due possibili legami: fragilità del lavoro e fragilità sul lavoro, rispettivamente la precarietà e le difficoltà psicologiche e fisiche. Per quanto riguarda la prima, molti sono i possibili aspetti da analizzare, ma ci siamo concentrati maggiormente sul tema della disoccupazione.


Per quanto riguarda la prima, molti sono i possibili aspetti da analizzare, ma ci siamo concentrati maggiormente sul tema della disoccupazione. In Italia il numero di occupati sta diminuendo sempre di più e, secondo i dati dell’Istat, il tasso di disoccupazione raggiunge il 9%. “Al giorno d’oggi sono sempre meno i posti di lavoro disponibili e risulta quindi molto più difficile inserirsi in questo mondo” spiega Davide Steccanella, dipendente del Trentino Social Tank. Organizzare corsi per indirizzare le persone nell’ambito lavorativo e valorizzarne le capacità è il suo lavoro, nonché il suo scopo di vita.“Negli ultimi tempi, a causa della situazione pandemica sono sorte maggiori complicazioni in quanto relazionarsi attraverso uno schermo risulta molto difficile”. Questo, secondo Steccanella, danneggia profondamente le relazioni umane e l’interazione con gli altri che nel mondo del lavoro sono aspetti fondamentali.
La pandemia, oltre a renderci tutti psicologicamente più fragili e ad accrescere la disoccupazione, ha avuto effetti devastanti sull'economia del nostro paese. Il settore maggiormente colpito risulta essere quello turistico che, di conseguenza, ha danneggiato notevolmente i ristoratori. Per questo abbiamo deciso di intervistare sia il gestore di un bar-ristorante in centro, sia un dipendente stagionale, mettendo a confronto le loro esperienze.


Da entrambi i punti di vista emerge la difficoltà di andare avanti data la situazione, ma, nonostante le limitazioni del governo e l’incertezza, continuano a impiegare tutte le loro energie nel lavoro che amano. “Sebbene la clientela sia di gran lunga inferiore a prima e il profitto molto basso, lavoriamo il più possibile”, ci raccontano. La preoccupazione affligge tutti, soprattutto i dipendenti che, come ci spiega il gestore intervistato, si sentono pressati dal rispettare le norme di sicurezza. “Sono preoccupato perchè il mio lavoro è in bilico”, questa è solo una delle frasi che più si sente tra i lavoratori provati per la situazione. Il problema però riguarda maggiormente gli impiegati stagionali che temono per la mancanza di future assunzioni o il non rinnovamento del loro contratto. Tuttavia si sentono sollevati in quanto potrebbe andare peggio: infatti, alcuni vivono nella totale incertezza e non sanno se o quando potranno riaprire. Invece in città l’atmosfera appare più tranquilla in quanto la clientela, anche se diminuita, è piuttosto presente. Come sostiene il gestore del ristorante “In questi casi agitarsi non serve proprio a nulla”.
Per quanto concerne,invece, l’aspetto psicologico, i problemi esistevano già da prima del Covid, come ci raccontano dall’alto della loro esperienza Cinzia Fabbroni e Giovanna Nadalini, membre dell’ufficio risorse umane e selezione del personale di Dolomiti Energia. Cosa fanno si capisce già dalla breve introduzione che ho fatto, e cioè selezionano persone (in questo caso non con evidenti problemi psicologici) per la loro azienda, in base a specifici standard. Le difficoltà da affrontare riguardano il frequente stato di malattia che contraddistingue in generale le persone che fanno richiesta di lavoro e col Covid la gestione dei lavoratori, come d’altronde quella di noi studenti, risulta più complicata anche a causa dello smart working e il senso di comunità e di confronto viene meno.
Simile è il lavoro di Giulia Indorato, segretaria generale del NIdiL (nuove identità di lavoro), legata al mondo dei sindacati e nello specifico della CGIL. Giulia si occupa di progetti e lavori “fuori dal normale”: infatti la NIdiL si occupa di persone più fragili psicologicamente che hanno bisogno d’aiuto e, con una buone dose di pazienza, le aiuta a realizzare i loro sogni e a permettere ad ognuno di poter fare la propria parte. Tutto questo è stato stravolto dalla pandemia, ma la cosa più grave per queste persone psicologicamente più deboli è stato il totale cambiamento dalla normalità. Infatti la comunicazione, lo stare insieme e l’aiutarsi a vicenda sono cose che col Covid non si possono quasi più fare. Oltre a questo aspetto di comunità che quindi si va un po’ a perdere, c’è l’aspetto meramente economico che preoccupa: Giulia ci spiega come adesso le persone lavorino molto “a chiamata” e quindi l’incertezza si faccia sentire molto, per non parlare degli stipendi trasformati in casse integrazione che non sempre arrivano con puntualità. Un altro punto sul quale i sindacati, rappresentati qui da Giulia, si battono è il famoso blocco dei licenziamenti che a maggio scade e anche qui si denota chiaramente la preoccupazione che molti privati non riescano a mantenere quelli che erano i loro dipendenti, evidenziando dunque un aspetto molto rilevante che riguarda la tutela e l’importanza delle piccole e grandi aziende private.


Con l’arrivo del Covid-19 è subentrata nel nostro paese una forte crisi economica che ha aggravato il tasso di disoccupazione nel paese. Ciò ha portato molte persone a finire per strada e di conseguenza il numero di “senzatetto” nelle nostre città è in costante aumento. Quante volte ci è capitato di imbatterci in un clochard e abbiamo cercato di evitare il contatto visivo, solamente a causa degli stereotipi che ci sono stati inculcati sin da piccoli?
Questi pregiudizi comportano seri impedimenti nell’ambito del lavoro, poiché i direttori delle aziende sono restii a dare fiducia concentrandosi di più sullo stato sociale che sulle effettive competenze.
Secondo i dati dell'ISTAT solo il 62% delle persone "senza dimora" lavora e percepisce uno stipendio che varia dai 100 ai 500 euro mensili.
Una larga fetta, circa il 30%, vive invece solo grazie a collette o aiuti della provincia. Infine troviamo un piccola percentuale, circa l’8%, che non ha alcun sostentamento economico


Non sono solo i pregiudizi ad ostacolare la loro entrata nel mondo del lavoro, infatti molti di loro si trovano di fronte ad una montagna invalicabile: la mancanza dei documenti. Di fatto una persona priva di questi non è in regola e i datori di lavoro non vogliono di conseguenza rischiare di assumersi la responsabilità per evitare di incorrere in problemi legali. Ciò costringe molti "senza tetto" ad andare in cerca di lavoro in nero, scelta che spesso li porta però a trovarsi “senza assicurazioni sanitarie, stipendi stabili e soprattutto senza una pensione”, come ci viene raccontato da Valeria Podrini, sindacalista della CGIL-Trentino.
Il sig. Palatucci, presidente dell'associazione "Amici dei senza tetto", ci spiega che “questa mancanza di documenti è dovuta alla lentezza della burocrazia Italiana e comporta gravi problematiche soprattutto per gli immigrati, in questo modo si trovano impossibilitati ad integrarsi nella società e a diventare autosufficienti”.



Grazie alla dedizione di molti volontari, il sig. Palatucci, ha però dato un incredibile aiuto alla comunità dei "senza dimora" offrendo in 6 anni più di 72.000 pernottamenti e donando più di 114.000 pasti tra colazioni, pranzi e cene.
Esistono tre tipi di lavoratori che contribuiscono al benessere degli ospiti e al mantenimento della struttura: i volontari non pagati che aiutano con la burocrazia e la gestione, i “senzatetto” a cui viene dato un compenso per il lavoro svolto e i detenuti che sono condannati a lavori socialmente utili.
Nell'ultimo periodo hanno iniziato a proporre anche un servizio di lavanderia per gli ospiti, gestito da Sona, una ragazza "senzatetto" costretta a scappare dalla sua casa in Libano, alla quale viene dato un compenso mensile per il suo lavoro e che vive in una camera messale a disposizione dall'associazione.


Grazie anche all'aiuto dell'associazione, negli ultimi 2 anni, vi sono stati ben 15 casi di persone che sono riuscite a risollevarsi e oggi posseggono una casa, uno stipendio stabile e una famiglia. Queste notizie ci scaldano il cuore essendo, per tutti coloro che si trovano in questa condizione, fonte di speranza.
Tra i clochard quelli che sono più in difficoltà sono coloro che hanno superato la soglia dei 45 anni, poiché i datori di lavoro sono in cerca di giovani e di conseguenza non hanno possibilità lavorative. Vengono dunque esclusi completamente dalla società e costretti a vivere in condizioni disumane. Tuttavia i più giovani, in estate, riescono a trovare dei lavori stagionali che pagano cifre irrisorie e, vista la crisi economica portata dal Coronavirus, ad oggi sono ardui da trovare.


Possiamo dunque affermare che, quando sono in cerca di lavoro, i "senzatetto" sono lavoratori fragili al pari delle persone con gravi disabilità. Molti sono impossibilitati a lavorare per cause che non gli competono ma altri, con l’impegno e l'aiuto di terzi, hanno una possibilità di rialzarsi e guadagnarsi una vita dignitosa.